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sabato 12 dicembre 2009

LA MIA POETICA


Se dovessi definire con un sostantivo la mia poesia utilizzerei il termine epica, anche se le gesta degli eroi dei miei versi non appartengono a persone più intelligenti, forti, brillanti o astute degli altri uomini (caratteristica dei “miti” che ritroviamo nei poemi epici della letteratura classica greca e latina o nella cosiddetta “epica cavalleresca”, dai toni più satirici e grotteschi, del periodo medievale), ma la gente comune, le loro storie di vita quotidiana. La gente appunto, e mi sovvengono le parole dell’abate Vella nel romanzo di Leonardo Sciascia “Il consiglio d’Egitto” quando parla della storia, del fatto che non esista se la consideriamo solamente con la bocca o le parole dello storico, ma siamo noi la storia, i nostri padri, i nostri avi e trisavoli, la voce della loro fame, i sensi della gente, questa è la storia, e chi meglio del poeta ha la facoltà e l’obbligo morale di raccontarla. Poesia tra e per la gente, con uno sguardo attento alla corporalità del testo poetico, la sua forza rappresentativa, vocale, scenica, sonora, un riaffacciarsi alla poesia Omerica, verso, prosodia sì, ma anche corpo, voce, rito, mito, religione, (nel senso re-ligare…tenere insieme), come dice Gianmario Lucini. Poesia come rappresentazione, non espressione, per una volontà di fabbricare esperienze vive, utili al sentimento, utili a ricordarci che la storia si vive solamente in prima persona, utili ad insegnarci che questa prima persona è implicata nella realtà ed ha responsabilità etiche. La poesia come spazio morale, confessione di un individuo che ha una vita ed uno sguardo proprio, con un linguaggio poetico il più possibile vicino alla lingua comune, un linguaggio che gli permetta di dire al lettore, come voleva Eliot, “così parlerei io se potessi fare poesia”. Viene ad essere per me determinante, in questo concetto, la musicalità dei versi, “non per il protagonismo retorico”, ma per la sua efficacia sommersa al momento di stabilire un ritmo di natura poetica; quindi né estetismo di alto lignaggio, né irrazionalismo retorico, né depurazione essenziale, ma poesia utile, realista, che assume gli elementi più diversi della tradizione integrandoli in un discorso personale, cioè, in “un modo proprio di utilizzare qualcosa che appartiene a tutti, il linguaggio, la storia, e che permette di definire sull’orizzonte collettivo le individualità sociali e letterarie”.


Walter Vettori

venerdì 11 dicembre 2009

IL MANIFESTO PROGRAMMA DEL MOVIMENTO POETICO "LA GENTE"

PREMESSA AL MANIFESTO PROGRAMMA DEL MOVIMENTO POETICO “LA GENTE”.

E’ dalla necessità di rispondere ad alcuni quesiti riguardanti la poesia, che ha le sue fondamenta questa premessa; quesiti che prendono origine dal dato di fatto dello scollamento tra poeta e pubblico, spesso dipendente dalla volontà dell’artista, in quell’avventura sempre più avvitata su se stessa, incapace di trovare una via alla realtà, al “mondo di tutti”.
Quindi, l’interrogativo ci vuole un “rinnovamento” nella poesia e se si da quale punto di vista, linguistico, dei contenuti, estetico, pratico, viene naturale. Come naturale ci si pone la domanda se è il “nuovo” il meglio per la poesia, e se si, quest’ultimo risponde più ad un’esigenza etica o a un’esigenza estetica? o a tutte e due? o è disperazione per ciò che non resiste al tempo o alla critica? o è la nostra noia proiettata? o l’incapacità di trovare l’arte nel mondo dominato dalla tecnica? Oggi dobbiamo interrogarci su questi interrogativi, ogni autore, e la critica in particolare, non può prescindere, se si vuole parlare di poesia dell’essere, dal cercare il senso dell’atto dello scrivere, ed il modo con cui lo esprime che non è, come dice Gianmario Lucini, quello della filosofia, della lingua dialogica o tecnica o disciplinare.
Senso quindi, ma anche visibilità, non quella di chi scrive ma piuttosto a ciò che il testo conduce; solo in questo caso si può contribuire al rinnovamento della poesia, fornendo materia al laboratorio del singolo, ad altri linguaggi. Citando Antonio Porta bisogna insistere su una Letteratura “come luogo delle interazioni tra storia e immaginazione…tra poesia ed esistenza, in direzione dell’esistenza: i versi ci servono, noi non vogliamo servire i versi e tanto meno l’Estetica”. Questa estetizzazione dove tutto si riconduce al codice mi piace/non mi piace – è bello/è brutto, che troviamo dappertutto fuori dell’istituzione arte, dove ogni consumo è fruizione estetica, ha tolto all’arte quella sfera deputata che la moderna società differenziata le aveva attribuito per due o tre secoli; una sfera di cui l’arte può fare benissimo a meno, e quindi si ha l’esigenza della “soppressione dei limiti dell’estetico”.
Ma non perdiamo il concetto sopra accennato di senso, perché, come dice Adam Vaccaro, non si può disgiungere il gesto della scrittura dalla sua naturale funzione umana e civile, il suo fare per stare meglio qui e ora, il suo dire della vita che ci manca, la sua implicita responsabilità eticosociale e con questo senza riesumare un primo o neo realismo. Ecco che omologarsi alle leggi di mercato e ai moduli dominanti di individualismo, creando spazi di piccolo potere personale sono tutti miseri rovesci della medaglia nobile della scrittura, ai quali non dobbiamo guardare o perlomeno cercare di ridurre.
Tutto questo non può prescindere dal gettare profondamente uno sguardo a noi stessi, ai nostri bisogni essenziali, perché ci vuole un nuovo spirito affettivo, perché la poesia può e deve contribuire a guarire un’umanità afflitta, è un fenomeno sociale anche se scaturisce da un individuo, ma per far ciò dobbiamo ritornare al vedere diretto ed oltre le cose.
Non è nostra intenzione, con questa premessa indicare una nuova corrente poetica, o dare una preferenza a quelle esistenti, che poi girano tutte intorno ai due filoni residuali, quello post-ermetico-tardo mitico o se preferite neo-romantico e l’altro eternamente neo-post-avanguardista, ma alla consapevolizzazione che tradizione ed avanguardia si giustappongono ormai senza conflitto, come linguaggi ornamentali e reciprocamente innocui. Che la poesia con la sua autoprogrammazione come mistero sacerdotale, iniziatica, aristocratica, incomunicabile, si condanna al silenzio, e che per ovviare a ciò deve ritornare a parlare e stare con la gente. Perché la storia, come fa capire l’abate Vella nel romanzo di Leonardo Sciascia “Il consiglio d’Egitto”, non esiste, se consideriamo la storia solamente con la bocca o le parole dello storico, ma siamo noi, i nostri padri, i nostri avi e trisavoli, la voce della loro fame, i sensi della gente, questa è la storia, e chi meglio dei poeti ha la facoltà e l’obbligo morale di raccontarla.
Partendo dalla volontà comune ai tanti del rifiuto verso una poesia scritta unicamente con l’idea della poesia, cioè concepita per lo più come un problema di stile e che ha, nella distanza dal linguaggio quotidiano le sue fondamenta, sta, nel modo in cui ci si relaziona con il concetto di tradizione, la scelta importante. Se da una parte troviamo quei poeti, per i quali il ritorno alla tradizione è fondamento di istituzione ed ordine oltre che di sicurezza e fiducia, certificando così il fallimento dell’avanguardia, altri, al contrario, cercano di andare più in là della modernità, intesa come volontà di espellere dall’arte tutto ciò che è improprio, e quindi si possono identificare post-moderni nel convertire il rincontro con la tradizione in una esperienza di accrescimento ed arricchimento.
Quindi rivedere il passato per poi correggere, rileggere, selezionare e non di meno rinunciare, criticando il modello dialettico che oppone essenza-apparenza (il concetto di arte come espressione) ed il modello esistenziale autenticità-falsità (interiorizzazione del soggetto poetico come un io scisso, con conseguente concetto di alienazione nel pensiero contemporaneo). Ecco che questa riflessione non può non trovare sovrapposizione nel pensiero poetico di Luis Garcia Montero (poeta spagnolo), quando afferma che il romanticismo, il modernismo e l’avanguardia non sono altro che tre momenti dello stesso sviluppo il cui asse è la sacralizzazione del compito artistico. E’ sulla scommessa di una poetica che si basi sull’io responsabile, cosciente di se stesso, delle sue limitazioni e possibilità, che prende vita questo movimento; perché, come dice Montero, la poesia non serve oggi per comunicare verità trascendentali (perché non esistono queste verità), né per conoscere misteri interiori incontaminati dalla storia (perché non esistono questi misteri); la poesia è costruzione oggettiva di un territorio linguistico nel quale sarebbe bene che si venissero a produrre due circostanze: che l’autore possa arrivare ad ordinare significativamente le sue esperienze (momento creativo) e che il lettore possa arrivare ad identificarsi con il tono e l’argomentazione esposta (momento della lettura). Quindi poesia come rappresentazione, non espressione, per una volontà di fabbricare esperienze vive, utili al sentimento, utili a ricordarci che la storia si vive solamente in prima persona, utili ad insegnarci che questa prima persona è implicata nella realtà ed ha responsabilità etiche. La poesia come spazio morale, confessione di un individuo che ha una vita e uno sguardo proprio, con un linguaggio poetico il più possibile vicino alla lingua comune, un linguaggio che gli permette di dire al lettore, come voleva Eliot, “così parlerei io se potessi fare poesia”. E viene ad essere determinante, in questo concetto, la musicalità dei versi, “non per il protagonismo retorico” ma per la sua efficacia sommersa al momento di stabilire un ritmo di natura poetica; quindi né estetismo di alto lignaggio, né irrazionalismo retorico, né depurazione essenziale, ma poesia utile, realista, che assume gli elementi più diversi della tradizione integrandoli in un discorso personale, cioè, “in un modo proprio di utilizzare qualcosa che appartiene a tutti, il linguaggio, la storia, e che permette di definire sull’orizzonte collettivo le individualità sociali e letterarie”.
E’ da un’ancor più ampia riflessione, che qui viene sintetizzata in una premessa e suo relativo manifesto, che prende vita questo movimento poetico post-moderno, fondato dal gruppo di Poeti di Trento "Elianto 2001", di cui sono il presidente,che ha nel suo nome “La gente” il presupposto principe di tutto il pensiero esposto sopra.
Movimento tra e per la gente, non escludendo da ciò la corporalità di un testo poetico, la sua forza rappresentativa, vocale, scenica, sonora, riaffacciandoci con lo sguardo ad Omero, perché tutto non sia ridotto solo alle parole e ai segni, alla lettura silenziosa, de-ritualizzata, ma che la poesia possa acquistare, in certi frangenti, una teatralità che la porterebbe ad una vitalità che è anche fisicità.

Noi, in quanto MOVIMENTO LA GENTE dichiariamo:

· di rincontrare la tradizione con una funzione di accrescimento ed arricchimento, quindi conoscerla per poi eventualmente rivederla, correggerla o sceglierla nelle sue diverse possibilità;
· di cercare, nel suo viaggio verso il lettore, la musicalità dei versi, non per protagonismo retorico, ma per stabilire un ritmo di natura poetica;
· di capire, in aggiunta al punto precedente, l’importanza non solo semantica o retorica della parola, ma anche musicale;
· di non chiudere gli occhi sul mondo, ma di profondere ogni sforzo per descriverlo, dove utopia, memoria, testimonianza siano nella poesia il luogo della ricerca per il cambiamento, non la grancassa di un sistema teorico già definito, e dove passione, ideologia, corpo e intelletto, individuo e società si scontrano;
· di riacquistare nella poesia parte della fisicità, oramai quasi del tutto persa, sostenendo con forza la ricomparsa nei teatri della rappresentatività poetica;
· di fare della lettura un continuo vitale abbeveramento, senza il quale saremo noi stessi poeti la causa della prematura scomparsa della nostra madre;
· dell’importanza di una consapevolezza storica che il poeta deve avere, nello scrivere o nel riscrivere pagine di storia, perché chi meglio dei poeti ha l’orecchio talmente fino da sentire il gorgoglio delle viscere vuote, la voce della fame;
· di combattere l’ostracismo da buona parte del mondo letterario accademico, letterario editoriale e poetico, nei confronti di molti autori di talento, che meriterebbero attenzione e pubblicazione, e che invece si scontrano con un mondo passatista legato a curare interessi carrieristici personali e dove “il prodotto” così lo chiamano, anche se mediocre, deve essere “collaudato” per essere più facilmente smerciabile;
· di opporsi, in perfetta sintesi con il punto precedente, all’omologazione alle leggi di mercato e agli individualismi dominanti, tutto per creare spazi di potere personale;
· di considerare i grandi mezzi di comunicazione necessari, ma non per questo dobbiamo venderci a loro, dobbiamo prima creare i presupposti all’interesse per la poesia, e dopo saranno gli stessi media a venire incontro alle nostre esigenze;
· di riconoscere che è impossibile, oggi, se si vuole contribuire alla storia, essere apolitici, ma l’importante che il primato sia della poesia sulla politica;
· di scavare affinché si crei un canale di collegamento, tra scolarità-accademia e poeti; perché lo studente abbia una visione non solo secolarizzata della poesia, ma che si crei un vero e proprio dialogo tra il poeta e gli studenti;
· fare in modo che cada definitivamente quel luogo comune per cui la poesia sia noiosa ed accessibile a pochi, la poesia è della gente, e della sua storia;

Walter Vettori
Presidente del Gruppo poeti di Trento "Elianto 2001"